Venerdì 18 maggio 2012 ore 21,00
Asilo della Consocenza e della Creatività
DANLENUAR
dramma epistolare di Giacomo Guarneri
con Maria Francesca Spagnolo e Giacomo Guarneri
luci Daniela Lo Re

Lo spettacolo è un dramma epistolare che racconta con acuta intimità la storia privata di un minatore morto nella catastrofe mineraria di Marcinelle (Belgio 8 agosto 1956).
L’autore Giacomo Guarnieri, cresciuto al fianco di maestri come Emma Dante e Davide Enia, dirige e interpreta, accompagnato dalla appassionata performance dell’attrice Maria Francesca Spagnolo, il frutto del suo lungo viaggio nell’Italia del dopoguerra, delle “fughe senza ritorno”, della speranza di una vita più dignitosa, nell’Italia che ancora oggi convive con la disoccupazione e le sue morti bianche.
Antonio, figlio della guerra e sfamato dalla miseria, è uno dei tanti italiani partiti per il Belgio a seguito dell’accordo “minatore-carbone” (Protocollo di Roma 1946) con cui il governo otteneva un prezzo di favore nell’acquisto del carbone in cambio della manodopera italiana nelle miniere.
La miniera per Antonio (Giacomo Guarnieri) è un buco nero, un pozzo senza fondo, nel quale si scende all’interno di una gabbia ammassati come animali. E poi il buio, che a mille metri sotto terra è pesto. Negli occhi solo il riflesso dei lumicini, uno ogni dieci passi, nelle orecchio il rombo assordante del martello pneumatico e nella mente Genoveffa, la moglie rimasta in un piccolo paesino siciliano per accudire la Madre.
Ancora Antonio che passeggia la domenica, da solo, ritrovandosi inconsciamente dinnanzi a quel cratere scuro che una leggenda vuole come custode di una maledizione d’amore e di un anello nascosto nel nero carbone.
La narrazione si contrappone nella corrispondenza tra i coniugi, inconsapevoli della verità vera della vita dell’altro. Di Antonio che soffre di solitudine e accudisce una gallina che ha chiamato Genoveffa. Di Genoveffa moglie, inizialmente intimidita dalla curiosità del paese, che si manifesta libera da ogni turbamento accompagnandoci basiti attraverso l’esplosione del suo personaggio quando “spartana”, nel suo ruolo di donna siciliana, innesta scalpore e sussulti per la sua folle corsa al seguito della gallina dagli anelli d’oro. Ilarità e disperazione per la lontananza forzata.
Ma il destino non si cura del sacrificio né dell’amore e il buio e il silenzio possono incombere anche in teatro, come in quel buco nero nel quale Antonio è stato inghiottito:
“Solo tre domeniche ho passato con te in Belgio e di tutte le altre ho un gran nostalgia”.

Evento Facebook https://www.facebook.com/events/337743119624141/

L’Asilo della Conoscenza e della Creatività (Ex Asilo Filangieri Forum delle Culture Occupato) si trova in vico Giuseppe Maffei 18 (via San Gregorio Armeno) – Napoli

Come arrivare all’Asilo

Hanno detto di Danlenuàr

 «La terribile tragedia dei minatori italiani morti nelle miniere del Belgio nel ’56, la dura realtà della fuga dalla miseria del nostro Meridione, vengono restituiti, in forma di dialogo epistolare, attraverso lo sguardo candido dei due protagonisti. Lui, Antonio, il marito, che parte in cerca di lavoro, e lei, Genoveffa, la moglie, che resta a casa e aspetta di raggiungerlo. Attraverso la suggestione del dettaglio narrativo, l’immaginazione del lettore/spettatore si colma di personaggi fantastici: il compagno di baracca polacco, che lancia gli spaghetti al muro per saggiarne la cottura, Baldassarre, il cavallo con gli occhi sbiancati dal buio cieco della miniera o, ancora, il signor Porco Diavolo, che così si autonomina perché lui, il Signore, non lo ha mai bestemmiato.

Nella penna di Guarneri, Antonio diventa un novello Charlie Chaplin siciliano mentre, a casa, Genoveffa sogna una gallina che scodella alberi di mele che contengono anelli d’oro. Guarneri è capace di farci sorridere pure nella consapevolezza della tragedia che incombe».

La giuria del Premio Enrico Maria Salerno – Roma, Teatro India, 26 novembre 2008

 «Assai ben scritto e ottimamente interpretato da Maria Francesca Spagnolo e Giacomo Guarneri (suo il testo e la regia), “Danlenuàr” della compagnia palermitana La Pentola Nera rievoca la tragedia dei minatori italiani seppelliti nel disastro di Marcinelle nel 1956; ma lo fa con lirica grazia e in un’ombra di delicata pietà, senza appesantire il già    grave argomento. Lo spettacolo scorre attraverso le lettere che si scambiano Antonio e Genoveffa, marito e moglie: lui costretto a emigrare in Belgio e a vivere nel buio di una galleria ad oltre mille metri sotto la terra, lei alle prese con il chiacchiericcio quotidiano di un paesino siciliano. E dalle quali risalta, in tutte le pieghe più amare, il dramma dell’emigrazione meridionale. Nella loro evocazione, sfilano una serie di personaggi fantastici, buffi e sorprendenti, sullo sfondo di una Italia del dopoguerra in bianco e nero. Pur nei limiti di un teatro di narrazione, “Danlenuàr” si fa apprezzare per la vivacità degli attori e per il lieve sorriso che percorre lo spettacolo a stemperarne il dolore interno».

di Guido Valdini – La Repubblica Palermo, 5-6-2009

 Libri/ “Danlenuàr”, nel nero della miniera con Giacomo Guarneri.

Nell’affollato, e ormai stantio, panorama del teatro di narrazione, c’è un volto nuovo. Giovane. Maturo. Capace di dare ulteriore linfa ad un genere che necessita di nuove modalità espressive. Artista profondamente radicato in quella terra fertile di creatività che è la Sicilia, che continua a generare talenti. Giacomo Guarneri è uno di questi. Attore dalla fresca vena affabulatrice, nonchè autore di intensa scrittura, sia orale che scenica, il giovane palermitano si è formato alla scuola di maestri del racconto come Mimmo Cuticchio, Davide Enia, Ascanio Celestini, Dario Fo. Ma il suo nome è legato alla regista Emma Dante, quale interprete dello struggente spettacolo “Vita mia” con cui ha girato l’Italia e l’Europa. Rappresenta una successiva evoluzione artistica il suo “Danlenuàr” testo vincitore del Premio Enrico Maria Salerno per la drammaturgia 2008. Un dramma epistolare nato come spettacolo da lui prodotto, diretto e interpretato, e ora diventato un piccolo romanzo grazie al concorso letterario nazionale “Giri di parole 2009” indetto da Navarra Editore. Un libro che si legge tutto di un fiato catturandoci nella morsa dolorosa di una tragedia lontana ma con echi ancora attuali: quella degli emigranti del nostro Meridione morti nelle miniere del Belgio nel ’56. Una storia di fughe senza ritorno. Pur nella consapevolezza del dramma che incombe Guarneri riesce a farci sorridere costruendo un divertente dialogo epistolare tra i due candidi protagonisti, marito e moglie. Nella penna dell’autore, l’emigrato in cerca di lavoro diventa un novello Chaplin siciliano; mentre lei, rimasta a casa in attesa di raggiungerlo, sogna una gallina che scodella alberi di mele contenenti anelli d’oro. La loro storia è arricchita di personaggi fantastici: il compagno di baracca polacco che lancia spaghetti al muro per saggiare la cottura, o il signor Porco Diavolo, che così si soprannomina per non aver mai bestemmiato il Signore in vita sua. Ricca di dettagli narrativi, di parole francesi sicilianizzate dal protagonista, di descrizioni di stati d’animo tra la lacrima e il riso, la scrittura di Guarneri si è nutrita di storie reali raccolte nel suo ambito famigliare, fra ex-zolfatai dell’entroterra siculo, e in Abruzzo incontrando alcuni dei superstiti della “catastrophe” di Marcinelle. Allargando il significato della vicenda storica “Danlenuàr” ha il pregio di mutare in racconto universale: una riflessione sul presente, che, come scrive lo stesso autore, «cerca di capire la miseria che porta gli uomini ad accettare il lavoro in condizioni estreme, la dignità scalfita che convive col coraggio, la voglia di costruire che sempre si rinnova e i limiti massimi dell’attesa, le tante morti bianche di ieri e di oggi». Infine, a differenza della messinscena, Guarneri aggiunge nel libro un capitolo, “Rue Beaurepaire”, un epilogo che spiazza. Quasi un colpo di scena. Dalla forma più canonica e immediata della prima parte, la scrittura muta stile, vira sul simbolico, e ricomincia la storia là dove sembrava tutto finito. Racchiudendo nel semplice affidare ad una lettera mai inviata la confessione del padre verso il figlio mai conosciuto, Guarneri fa del protagonista una summa di tutti gli apolidi, un uomo che ha perso tutto – nome, identità, origini, religione, sesso -, a cui rimane solo il ricordo.

 di Giuseppe Distefano – IlSole24ore on line, 14 maggio 2010

Nelle viscere della terra

Il buio, quello vero, nessuno se lo può immaginare. Il buio è sordo, come la paura. Ti prende di sorpresa alle spalle e con la pelle d’oca ti fa correre lontano, fino a perderti nelle viscere della terra.

Danlenuar è un dramma epistolare che racconta con acuta intimità la storia privata di un minatore morto nella catastrofe mineraria di Marcinelle (Belgio 8 agosto 1956).
L’autore Giacomo Guarnieri, cresciuto al fianco di maestri come Emma Dante e Davide Enia, dirige e interpreta, accompagnato dalla appassionata performance dell’attrice Maria Francesca Spagnolo, il frutto del suo lungo viaggio nell’Italia del dopoguerra, delle “fughe senza ritorno”, della speranza di una vita più dignitosa, nell’Italia che ancora oggi convive con la disoccupazione e le sue morti bianche.

Antonio, figlio della guerra e sfamato dalla miseria, è uno dei tanti italiani partiti per il Belgio a seguito dell’accordo “minatore-carbone” (Protocollo di Roma 1946) con cui il governo otteneva un prezzo di favore nell’acquisto del carbone in cambio della manodopera italiana nelle miniere.

La miniera per Antonio (Giacomo Guarnieri) è un buco nero, un pozzo senza fondo, nel quale si scende all’interno di una gabbia ammassati come animali. E poi il buio, che a mille metri sotto terra è pesto. Negli occhi solo il riflesso dei lumicini, uno ogni dieci passi, nelle orecchio il rombo assordante del martello pneumatico e nella mente Genoveffa, la moglie rimasta in un piccolo paesino siciliano per accudire la Madre.
Ancora Antonio che passeggia la domenica, da solo, ritrovandosi inconsciamente dinnanzi a quel cratere scuro che una leggenda vuole come custode di una maledizione d’amore e di un anello nascosto nel nero carbone.

La narrazione si contrappone nella corrispondenza tra i coniugi, inconsapevoli della verità vera della vita dell’altro. Di Antonio che soffre di solitudine e accudisce una gallina che ha chiamato Genoveffa. Di Genoveffa moglie, inizialmente intimidita dalla curiosità del paese, che si manifesta libera da ogni turbamento accompagnandoci basiti attraverso l’esplosione del suo personaggio quando “spartana”, nel suo ruolo di donna siciliana, innesta scalpore e sussulti per la sua folle corsa al seguito della gallina dagli anelli d’oro. Ilarità e disperazione per la lontananza forzata.

Ma il destino non si cura del sacrificio né dell’amore e il buio e il silenzio possono incombere anche in teatro, come in quel buco nero nel quale Antonio è stato inghiottito:
Solo tre domeniche ho passato con te in Belgio e di tutte le altre ho un gran nostalgia”.

di Antonio Raciti – D-Mag, periodico on line – marzo 2011