Nelle scorse settimane, pezzi dell’Asilo sono stati più volte invitati a Barcellona, per condividere la nostra esperienza con altre realtà spagnole e non solo. Durante una delle nostre visite, siamo stati intervistati dagli inviati del giornale Diagonal da cui nase questa chiacchierata.
“Questo è un laboratorio di autogoverno”.
L’Asilo è stato il primo spazio liberato riconosciuto come bene comune nella città di Napoli.
Napoli, con una trentina di spazi liberati, è una delle città-simbolo del movimento Occupy. Nel novembre 2015 la sua amministrazione comunale ha riconosciuto uno di questi spazi, l’Asilo Filangieri, come bene comune della città. Nel giugno 2016, una delibera ha riconosciuto altri sette spazi come beni comuni. Parliamo con un ricercatore di filosofia politica e del diritto, a proposito di questa forma di riconoscimento.
L’Asilo è stato ciò da cui è nata questa delibera. Qual è stato il processo per ottenerla?
Il processo è nato a partire dall’uso civico e collettivo urbano dell’Asilo, come sperimentazione frutto di una lotta dei lavoratori dell’arte, della cultura e dello spettacolo, incominciata con l’occupazione di un immobile monumentale, già patrimonio Unesco, di tre piani e sito nel centro storico della città. Questo spazio era destinato a essere sede del Forum Universale delle Culture, una fondazione privata che, con ingenti fondi pubblici, avrebbe dovuto organizzare un grande evento culturale, poi rivelatosi puntualmente un fiasco.
L’occupazione fu una risposta ai meccanismi verticali di decisione nell’ambito culturale, che si collegano al clientelismo politico. Da subito, immaginammo la nascita di una nuova istituzione dove le decisioni sui fondi, l’organizzazione degli spazi e di quanto altro connesso fosse a carico dei lavoratori dei distinti settori culturali, insieme ad una comunità più ampia di cittadini e fruitori. Per realizzare questa battaglia, anche dal punto di vista del riconoscimento in termini giuridici, abbiamo reinterpretato un istituto giuridico molto antico esistente in Italia, quello dell’uso civico, legandolo al discorso dei beni comuni e dando vita, anche grazie a uno studio condiviso durato tre anni, all’Uso civico e collettivo urbano, una rivoluzione nell’ambito del diritto pubblico. L’obiettivo era pensare l’Asilo come un bene comune nel quale la partecipazione diretta è elemento qualificante della categoria. È un cambiamento anche nella teoria dei beni comuni, che ora viene riconosciuto tra l’altro dalle delibere dell’Amministrazione pubblica.
Si organizza attraverso una forma di democrazia assembleare complessa. C’è un’assemblea di gestione, un’altra chiamata d’indirizzo, gruppi di lavoro e tavoli che sono chiamati organi di autogoverno dell’Asilo. L’obiettivo che presentammo all’amministrazione di Luigi de Magistris (sindaco di Napoli) fu che questi fossero riconosciuti non come organi di funzionamento di un collettivo o di un’associazione, ma organi di autogoverno in grado di plasmare il regolamento d’uso pubblico dello spazio. L’obiettivo era superare la logica della concessione ed assegnazione ad un soggetto giuridico, un meccanismo classico che può porre il problema sul se e come adottare una certa forma (ad esempio associativa) quando la scelta entra in contrasto con la storia di tante esperienze sociali che chiedono invece di produrre conflitto sociale. Nessuna forma di regolarizzazione deve ostacolare questo tipo di generazione continua del conflitto. L’obiettivo, pertanto, era definire quali fossero i diritti sul bene, e da qui il punto dell’amministrazione diretta. Siamo passati, dunque, dal problema del chi decide alla elaborazione di un metodo legato al come si decide, rendendolo con ciò manifesto. In questo spazio si è creata quindi una forma di regolamento comune, che si applica non a qualcuno in quanto abitante dell’asilo, ma a chiunque attraversa lo spazio, ed entra a far parte della comunità che se ne prende cura.
Quindi la delibera non obbliga a costituire un’associazione o un altro soggetto giuridico…
No, non è necessario costituire alcuna associazione. Nelle assemblee degli attuali otto spazi liberati possono coesistere tante associazioni, 10, 20, 30 o anche nessuna associazione, ma individui o gruppi che chiedono di calendarizzare le loro attività. Con un meccanismo comunitario orizzontale organizzato si rispetta la natura di un movimento politico che è e deve restare aperto. Non è un caso che Il collettivo esistente al momento dell’occupazione, il momento genetico del conflitto, in questa costante mutazione non esiste più. Abbiamo creato una dichiarazione d’uso con 23 articoli attraverso un processo collettivo al quale hanno partecipato artisti, cittadini che attraversano lo spazio e tanti altri. Queste norme si assumono come regolamento d’uso del bene. È una strategia per differenziare le funzioni della gestione collettiva dalle funzioni del proprietario, cioè il Comune, con una serie di responsabilità ed oneri molto complesse della pratica (ad esempio, norme antincendio, regole di sicurezza, chiavi). Il pubblico ha la responsabilità, per esempio, della custodia dello spazio e della manutenzione ordinaria – come la luce – e soprattutto straordinaria – come gli eventuali interventi strutturali sull’immobile. Gli abitanti dell’asilo hanno compiti funzionali, per esempio, a gestire le attività, ma anche a costruire materialmente i mezzi di produzione, come il teatro.
Come si risolve il problema degli alimenti e delle bibite?
A volte sono le persone che propongono le attività a farsene carico. Per esempio, gruppi dedicati all’autoproduzione ecologica. Altre volte è la comunità che se ne fa carico, senza tuttavia la vendita, bensì attraverso una forma di donazione volontaria. Questo è un punto sul quale dovremmo essere capaci di compiere un passo in avanti, immaginare delle nuove regole che si adattino a una forma di contribuzione che non ha niente a che vedere con quella che utilizzano i locali commerciali. Ma su questo, sul tema delle bibite dovremo ancora lavorare. Ad ogni modo, è importante sottolineare che i fondi che vengono ottenuti in questo modo non servono per finanziare un collettivo o fare autoreddito: tutto è destinato alla costruzione dei i mezzi di produzione ed al miglioramento del bene; e tutti, per lo stesso principio, possono attraversare lo spazio e svolgere le proprie attività lasciando un contributo volontario e non vincolante.
Qual è il criterio per cui lo spazio è stato riconosciuto come bene comune?
La delibera che riconosce l’uso civico dell’Asilo è più complessa di quella degli altri sette spazi che poi ne hanno seguito il percorso. Perché si tratta di un meccanismo che contiene una parte, che è quella propriamente della delibera, che spiega l’atto amministrativo vero e proprio, e configura l’Asilo come un bene comune emergente, per le attività che vengono prodotte e per il tipo di partecipazione che vi si è generato. La parte dispositiva dell’atto amministrativo, che spiega come il bene si governa, riconosce il regolamento che abbiamo scritto noi come abitanti dell’Asilo. Questo regolamento trasforma le regole disciplinari che tipicamente prescrivono come si attraversa uno spazio pubblico, relativamente agli orari, eccetera. Abbiamo sostituito questa forma disciplinare con una forma più articolata di uso, che rispetta il tipo di organizzazione che si è data la comunità. È stato un dialogo politico molto importante con l’amministrazione de Magistris e con l’assessore Carmine Piscopo, al quale soprattutto hanno partecipato tecnici e funzionari del Comune. Questo ha permesso di spostare il piano politico della città e ha introdotto il tema, ora centrale, del nuovo concetto di autogoverno. Il tema ha visto protagonisti anche gli altri sette spazi, coinvolti in un movimento chiamato Massa Critica – Decide la città, di cui sono parte diversi centri sociali e spazi liberati napoletani, con l’intenzione e lo scopo di andare oltre la base, il corpo tradizionale dei movimenti. Una gran parte rientra in questa piattaforma. Abbiamo cominciato a lavorare perché altri luoghi liberati fossero riconosciuti in queste forme, e per farlo abbiamo prodotto un dossier di attività che ne dimostrasse il valore sociale. L’ultima delibera, che riconosce l’autonormazione civica in quanto generativa di un alto valore sociale, riconosce anche una compensazione degli oneri di gestione. Quello che è importante, per comprendere come tutto ciò sia stato possibile, è rendersi conto che non si tratta solo di un servizio per l’intera cittadinanza, ma di un tentativo di costruire un laboratorio di autogoverno, di condivisione in cui l’utilizzo dei mezzi di produzione e la loro implementazione è basato sulla cooperazione.
Può questa forma di riconoscimento mettere in pericolo lo spazio come luogo di politicizzazione?
No, al contrario. Un uso collettivo e non identitario permette la nascita di proposte altamente conflittuali, come è stato per il riconoscimento della cittadinanza onoraria della città di Napoli a Abdullah Ocalan, nata durante un’iniziativa dell’Asilo. L’elemento della conflittualità non deve diventare una questione di compatibilità amministrativa. Sono le persone che utilizzano lo spazio che devono avere la possibilità di generare attività nel rispetto di valori quali l’antifascismo, l’antirazzismo e l’antisessismo, che fanno parte del preambolo del regolamento d’uso e che attengono agli organi di garanzia, ed alle forme di regolamento specifiche degli altri sette spazi, che saranno elaborate seguendo la loro diversità funzionale e di comunità di riferimento. In tutto questo, c’è la garanzia che gli spazi non vengano venduti.
Ci sono state pressioni politiche o di altro tipo dagli spazi che non sono stati inclusi nella delibera?
No, il movimento degli spazi liberati a Napoli è molto forte anche perché rispettiamo il principio di una difesa comune. Gli altri spazi che non sono inclusi in quest’atto amministrativo hanno comunque appoggiato la delibera.
Non ci sono centri sociali contro questo processo?
Non c’è nessuno che si è espresso contro. Esistono sicuramente alcuni spazi poco interessati. Ma nessuno si è dichiarato pubblicamente contrario a questa delibera, e vi sono una trentina di spazi sociali a Napoli, che includono anche occupazioni abitative.
Quest’ordinanza riguarda anche l’uso dei beni comuni come spazio abitativo?
Uno degli spazi dichiarati come beni comuni dalla delibera è uno spazio abitativo. È una sperimentazione nuova, perché è stato riconosciuto solo il piano terra dell’occupazione. Si dovranno mettere in campo altri criteri: come si decide, chi entra, per quanto tempo, tutto rispettando la pratica della relativa campagna di lotta. L’elemento della sperimentazione è centrale, perché la delibera non è soltanto una forma di difesa, ma un terreno di conquista. Non è un modo per evitare i problemi, al contrario: vogliamo generare maggior conflitto. In questo periodo sto scrivendo un articolo sulla governabilità neoliberale e il Ttip. Se riconosciamo che questo trattato è una distorsione prodotta da governi neoliberali , allora anche noi abbiamo la volontà di distorcere il diritto, ma in un’ottica collettiva.
Non stiamo cercando una via d’uscita. Stiamo affrontando nel modo più esplicito possibile una battaglia perché si riconoscano prassi che noi consideriamo legittime.
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Potete leggere l’intervista in lingua originale a questo indirizzo: https://www.diagonalperiodico.net/libertades/31726-esto-es-laboratorio-autogobierno.html