«L’idea di “sentirsi a casa” sembra essere l’esatto opposto di alienazione. Applicare la nozione di alienazione alla sfera residenziale può aiutarci a capire l’attuale esperienza delle lotte per la casa – e ad illuminare le connessioni tra crisi degli alloggi e crisi personale.
La portata e la natura dell’alienazione residenziale variano notevolmente tra i diversi gruppi e nei diversi luoghi. Alcuni paesi e città offrono più sicurezza di altri. Ma l’alienazione residenziale può essere riconosciuta ovunque nel mondo: è il prodotto della ipermercificazione dell’housing, della precarietà del lavoro, di crescenti disuguaglianze e dell’assalto del neoliberismo alle reti di protezione sociale. Questi processi riguardano i proprietari-occupanti così come gli inquilini, e le famiglie delle classi medie così come quelle delle classi operaie. Il loro impatto è sentito in modo diverso, ma è un errore supporre che si tratti di un problema che riguarda solo le famiglie più povere.
In un’epoca in cui la flessibilità predomina rispetto alla stabilità e in cui molte delle più importanti istituzioni concepite per proteggere le persone dai rischi stanno attraversando una loro propria crisi, la crescita della precarietà e dell’alienazione non dovrebbe sorprendere. Ma l’impatto di questo processo sull’esperienza dell’abitare non penetra nella politica abitativa dominante. Se vogliamo davvero comprendere le conseguenze della iper-mercificazione della casa, dobbiamo comprendere l’esperienza psicosociale alienata – la paura, lo stress, l’ansia e la perdita di fiducia – che l’attuale sistema abitativo produce».
David Madden – Peter Marcuse, In difesa della casa. Politica della crisi abitativa, p. 106

Condividiamo la denuncia di Maria Reitano sullo sgombero dei senzatetto dalla Galleria Umberto I di Napoli di giovedì 20 gennaio, un intervento annunciato dal Comune di Napoli come parte di un’azione definita “la riqualificazione della Galleria Umberto I”.
Questo evento ci fa riflettere sull’ingiustizia spaziale delle nostre città: gli spazi sono distribuiti in modo disuguale e discriminatorio, e spesso sono sottratti proprio a chi ne ha più bisogno.
Dal 18 marzo 2020 i governi sono stati esortati a non consentire alcuno sfratto, poiché la casa stava assumendo un ruolo di difesa nel contesto della pandemia. Concretamente, #stayathome non è stata una condizione possibile per la popolazione mondiale.

La European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions ha evidenziato che il costo totale annuale per le economie dell’UE di assegnare la vita delle persone a degli alloggi inadeguati è di quasi 194 miliardi di euro. L’Eurostat ha rilevato che nel 2017 oltre il 15% della popolazione dell’UE viveva in abitazioni sovraffollate. Il rapporto di Housing Europe The State of Housing in the EU 2019 ha fatto luce ancora una volta sulla tendenza allarmante che si può osservare dai dati delle spese legate all’alloggio. Il 37,8% delle famiglie a rischio di povertà spende più del 40% del reddito disponibile per l’alloggio. Allo stesso tempo, se si tiene conto dei costi dell’alloggio, 156 milioni di persone sono a rischio di povertà, contro gli 85 milioni se non si tiene conto dei costi dell’alloggio. La European Federation of National Organisations Working with the Homeless ha sottolineato che “Restare a casa” non è stata assolutamente un’opzione per le oltre 700.000 persone in Europa che vivono senza una casa.

Le misure politiche temporanee e d’emergenza non hanno affrontato chiaramente i problemi strutturali, ma hanno evitato talvolta eventuali disastri abitativi immediati con interventi temporanei e provvedimenti sempre emergenziali in direzione di un welfare dell’abitare basato su «bonus» o «ristori», contributi all’affitto che costituiscono in sostanza una garanzia per la rendita.
Alcun* attivist* per la casa hanno iniziato a pianificare scioperi degli affitti, altri hanno iniziato a creare strumenti comuni, organizzare il mutuo soccorso, l’assistenza reciproca e solidale. Le richieste di sciopero degli affitti sono iniziate a metà marzo 2020 e si sono diffuse in aprile, in particolare in Europa e Nord America, includendo la cancellazione dell’affitto per tutti coloro che non erano in grado di pagare, tra le altre misure il congelamento dei prezzi degli affitti, la sospensione dei pagamenti delle utenze, l’alloggio per i senzatetto. Con slogan come “Can’t pay, won’t pay”, “Si no cobramos, no pagamos”, gli scioperi degli affitti si sono diffusi tra Philadelphia, Oakland, Londra, dal Sudafrica alla Nuova Zelanda. Molti strumenti sono stati creati per sostenere, visualizzare ed estendere le lotte per la giustizia abitativa. L’Anti-Eviction Mapping Project ha spazializzato le protezioni d’emergenza per gli inquilini, le proposte implementate dai governi e i luoghi in cui azioni come #RentStrike2020 #CancelRent sono o potrebbero essere in corso attraverso una cartografia digitale interattiva per visualizzare le misure anti-eviction e di protezione degli inquilini in tutto il mondo.
Di fronte a questo, la ricostruzione di narrazioni omesse o trascurate dalla “narrazione ufficiale” diventa lo strumento necessario di politicizzazione degli usi dello spazio pubblico per una sostanziale riemersione delle questioni che ne delineano la dimensione pubblica, ponendosi a nostro avviso come immediato dispositivo di incontro delle vulnerabilità amplificate dalla crisi sanitaria. In questa prospettiva, proponiamo la condivisione di una riflessione sull’evento dello sgombero dei senzatetto dalla Galleria Umberto I di Napoli di giovedì 20 gennaio, un intervento annunciato dal Comune di Napoli come parte di un’azione definita “la riqualificazione della Galleria Umberto I”.
Se le azioni e le pratiche solidali prodotte nell’emergenza attraverso le reti di associazioni, cooperative, mense, centri sociali e beni comuni urbani hanno sostenuto molti abitanti che erano nella condizione di necessità di beni primari o a rischio di diventare senzatetto, questo evento mette in luce come le forme di vulnerabilità rendano stridente il paradigma decoro, degrado, sicurezza rispetto alla questione della casa, ulteriormente depoliticizzata dal claim delle campagne #stayathome/#iorestoacasa. È necessario considerare come, nel bel mezzo del dispiegamento di questo presente, le conseguenze di una politica della crisi siano ampiamente in azione disegnando geografie diseguali e acuendo una polarizzazione socio-spaziale del disagio abitativo, fattori determinanti un’incisiva amplificazione delle ingiustizie e delle disuguaglianze preesistenti.
A causa delle pressioni dell’austerity e della riduzione della spesa pubblica, che ha impedito di affrontare la progressiva contrazione del diritto di accesso alla casa, abbiamo assistito a un processo di mercificazione dell’abitare, dello spazio pubblico che inscrive la casa lontano dai processi o dall’attività dell’abitare, delineandone l’accezione di merce o prodotto. L’esperienza dei beni comuni, di fronte alla depoliticizzazione delle questioni emergenti e in particolare all’inasprimento delle condizioni di accesso alla casa rispetto all’uso proliferante della proprietà urbana come asset, considera che le politiche pubbliche debbano necessariamente acquisire l’idea di housing come bene comune. D’altra parte, parlando della mercificazione dell’abitare si pone con estrema visibilità una duplicità dei diritti di proprietà che nel caso del contesto napoletano sembra mediata da una parte dai diritti conquistati dall’uso di spazi abbandonati e dall’altra dalla forte mediazione estrattiva della rendita, un rapporto sociale che si dispiega attraverso conflitti sulla proprietà dei beni, sulle modalità del loro uso e sulle espulsioni.
La mercificazione della casa come bene di scambio e i suoi effetti spaziali sono politicamente declinabili come il passaggio della proprietà urbana dall’uso sociale alla sua valorizzazione come merce. Le lotte per i beni comuni si inscrivono nella matrice delle lotte per la creazione di diritti di proprietà che sono istanze contro la mercificazione e includono le recinzioni delle risorse, la privatizzazione e la finanziarizzazione della casa o degli alloggi pubblici. In un dispositivo che ponga l’housing come sistema basato sui beni comuni, l’abitazione dovrebbe corrispondere a una sorta di comune riserva di risorse, intesa come mezzo non mercificato per soddisfare i bisogni delle persone. Pratiche innovative sembrano necessarie per rispondere a un bisogno primario e rivendicare i diritti fondamentali, pensando una proprietà destinata non alla massimizzazione della rendita, ma all’accesso.
Come in Italia la pratica dei beni comuni emergenti resta radicata all’intervento pubblico come garanzia sociale e regolativa, riteniamo sia necessario costruire un discorso sull’abitare che consenta di implementare progettualità alternative alla naturalizzazione della privatizzazione del patrimonio pubblico delle città in crisi, riuscendo a sottrarre il patrimonio edilizio e lo spazio pubblico dai circuiti di speculazione e mercificazione, costruendo così un approccio all’accesso e agli usi dei beni basato sui criteri di giustizia spaziale.