In questi giorni assistiamo all’ennesimo esempio di gestione fallimentare di un’istituzione culturale: è nuovamente il caso del Teatro Stabile di Napoli, il nostro teatro pubblico, già noto per la privatistica e scadente gestione del suo strapagato direttore artistico, nonché direttore del Napoli Teatro Festival e regista di tutte le ricchissime produzioni teatrali dello Stabile e del Festival (ricordiamo i famosi 750mila euro per la sua “Opera da tre soldi” e l’insolvenza del teatro verso tante compagnie, lavoratori e lavoratrici che vi hanno prestato servizio).
Ebbene, un mese fa il Teatro Stabile di Napoli ha pubblicato un avviso per l’assunzione di 15 nuove figure professionali a tempo indeterminato, iniziativa che il nuovo Decreto Valore Cultura impone agli Stabili che vogliono diventare Teatri Nazionali. Una briciola di speranza per 1400 operatori (tante sono state le domande arrivate) che si è dissolta immediatamente nell’opacità e nella mancanza di trasparenza delle procedure di selezione. Si denunciano in particolare: assenza di criteri chiari di preselezione affidati a sconosciuti “sistemi automatici”; non pubblicazione di griglie valutative; inaccessibilità ai documenti per i candidati. E ancora la non pubblicazione dell’elenco delle candidature ricevute (arrivate al Teatro tramite email e non per posta certificata) e il ritardo con cui sono stati pubblicati i risultati delle preselezioni.
Sono già partiti molti ricorsi, ma il problema è a monte e riguarda l‘intero sistema di gestione delle istituzioni culturali in questo paese.
Ci preme ricordare, infatti, che le più importanti istituzioni culturali create da enti pubblici con i soldi della collettività, sono di fatto enti di diritto privato e si comportano come tali, anche quando assumono: sono associazioni (come nel caso del Teatro Stabile di Napoli) e/o fondazioni (come nel caso del Napoli Teatro Festival) in balia dei partiti, in cui prevalgono logiche clientelari e di spoil system, senza nessun vincolo di trasparenza, di controllo e di partecipazione dei cittadini.
Dunque, il Teatro Stabile di Napoli, che per la selezione dei curricula si è affidato a una società per azioni, è “legalmente autorizzato” a non pubblicare un regolare bando di concorso e a non rispettare criteri di trasparenza, così come è autorizzato a sperperare denaro pubblico per mastodontiche produzioni a firma unica del suo pluridirettore e regista.
È proprio contro questa illegittima legalità che l’Asilo porta avanti la sua lotta. La legittima occupazione e la restituzione di un bene pubblico sottoutilizzato – sede della Fondazione Forum delle Culture che gestiva fondi pubblici secondo l’arbitrio e la discrezionalità del suo presidente, senza criteri riconoscibili né trasparenza – si è trasformata da tempo in un processo costituente verso una nuova istituzione pubblica nella quale una comunità di lavoratori aperta e in continuo divenire mette in atto un modello di gestione e autogoverno del bene garantendo, attraverso pratiche decisionali condivise, l’accessibilità, l’imparzialità e l’inclusività nell’uso degli spazi e dei mezzi di produzione.
Siamo consapevoli che questa nostra sperimentazione è solo un primo passo per mettere finalmente al centro del dibattito pubblico le questioni di politica cultuale. La battaglia da combattere riguarda le cosiddette governance dei teatri pubblici e delle istituzioni culturali – e più in generale delle risorse pubbliche destinate alla cultura – affinché siano gestite in maniera radicalmente trasparente e democratica, insieme a chi questo lavoro lo conosce e lo pratica ogni giorno attraverso scelte coraggiose, che diano spazio a sperimentazione e nuovi linguaggi; una battaglia per un finanziamento pubblico libero dalla gestione dei partiti, ormai diventati semplici portatori di interessi privati che seguono logiche clientelari e/o di interessi privati, come dimostrano le tristi vicende del nostro teatro cittadino.
[l’immagine di copertina è Ipnoinducente – 2009 di Thorsten Kirchhoff]