I beni comuni fra Napoli e Roma, seconda parte. Le fratture spaziali nella società dello spettacolo.
di Francesco Miglaccio
[…] Durante una riunione all’Asilo della Conoscenza di Napoli ricordo che uno degli occupanti ha iniziato a battere i piedi per terra. «Noi questo posto lo dobbiamo vivere, lo dobbiamo attraversare», e batteva le suole contro il pavimento. «Questo posto è reale, fisico, ma esiste davvero quando ognuno di noi vi entra e contribuisce alla sua gestione, alla creazione di cultura, all’invenzione di nuove pratiche artistiche e politiche.» Mi è rimasto impresso questo gesto dei piedi, il battito ritmico sul pavimento. Credo che ognuno dei luoghi occupati che ho visitato esista nella sua particolarità spaziotemporale: ogni luogo è una singolarità, un perimetro delimitato da fratture nel tessuto urbano ed economico. Quando si producono riflessioni di ampio raggio su quanto sta avvenendo in Italia e quando si citano, fra una virgola e l’altra, i diversi spazi occupati, non si deve dimenticare che ogni luogo ha una sua esistenza particolare, uno specifico insieme di regole, pratiche e strategie. Ogni spaziotempo – proprio in quanto singolarità – è irriducibile agli altri.
I luoghi occupati, quindi, vanno intesi come differenze spaziotemporali, scarti, isole alternative e porose. Se è vero che il capitalismo contemporaneo si riproduce in una società dello spettacolo pervasiva e alienante, il sistema sembra sempre meno integro e totale. Forse è proprio l’arte (e il teatro prima di tutto) a tentare una nuova forma di resistenza allo spettacolo del capitalismo: a una secessione nello spazio urbano corrispondono nuove forme di autonomia della creatività e della performance. L’arte è la prima sfera a tentare di sottrarsi al dominio integrato delle merci e dell’industria culturale: lo spettacolo teatrale si produce come alternativa allo spettacolo integrato del capitalismo; i palchi accolgono e sperimentano le scosse politiche che latitano in altri spazi sociali.
Francesco Migliaccio