Da giovedì 7 a venerdì 15 dicembre | l’asilo

Mostra d’arte “Simulacri”, a cura di Francesca Racano

Vernissage 7 dicembre ore 19.00

Il lavoro che Francesca Racano propone per la mostra negli spazi dell’Armeria dell’Asilo Filangieri nasce da una ricerca che porta avanti sul concetto di simulacro, in particolare in relazione all’espressione artistica. Attraverso diverse tecniche e diversi medium cerca di tradurre in immagini ciò che la scrittura e l’esperienza sensibile evocano come visioni.
Il termine simulacro è utilizzato in modo complesso e diversificato ed è caratterizzato da un’ambivalenza che ne rende difficile la circoscrizione in uno spazio concettuale ben definito. È indeterminato ed evanescente proprio per questo estremamente affascinante.

Simulacro deriva dal termine similis (anticamente semilis), la cui radice -sem in origine indicava l’unità e non la riproduzione; è il mezzo (dal suffisso -cro) per la rappresentazione (simula) dell’uno.
Il termine latino Simulacrum è figura, statua, ma anche ombra e fantasma; dal verbo simulare ovvero raffigurare in forma simile.
Simulare ha la stessa radice del termine simulatio che significa apparenza, finzione ed inganno.
Simulare vuol dire infatti imitare, riprodurre e rappresentare ma anche fingere o ingannare.
Il simulacro ha una doppia valenza: è nello stesso tempo vero e falso.
Vero nell’accezione di immagine, ritratto, falso nell’accezione di apparenza, visione, fantasma.
La radice simul- invece vuol dire “allo stesso posto di” che indica l’equivalenza quantitativa del simulacro rispetto all’originale e “nello stesso momento in cui” che indica la simultaneità, ovvero la capacità del simulacro di assumere lo stesso valore della realtà e la contemporaneità rispetto ad essa.
Verità e falsità, reale ed immaginario.

Il termine Simulacro appare per la prima volta nella riflessione classica greca con Platone come εἴδωλον (éidõlon), imitazione dissomigliante (idoli/idola in latino) in opposizione a εἰκών (eikôn) icona, tradotta come “copia”: la copia rinvia sempre per imitazione al reale, senza dissimulare il reale stesso.
Secondo la teoria dei simulacra esposta da Lucrezio (nel I secolo a.C. c.ca) nel IV libro del De rerum natura, dalle cose si staccherebbero delle membrane superficiali, sottili veli atomici, del tutto identici alle cose, i quali, venendo in contatto con i sensi, determinerebbero sia le percezioni sia i sogni, quindi la conoscenza.
Le immagini si staccano dagli oggetti di cui conservano forma e aspetto e, colpendo l’occhio, ci restituiscono la visione delle cose. Lucrezio afferma che i simulacri sono impercettibili e invisibili come gli atomi, si formano per emanazione dai corpi o per composizione nell’aria e si muovono o attraversando i corpi o arrestandosi e frantumandosi o riflettendo con una rapidità superiore alla luce solare e al pensiero.
Nel 270 d.C. anche Porfiro di Tiro nel suo Sui Simulacri analizza il concetto di simulacro nella sua accezione di statua, figura (dal termine greco Ágalma). Ágalma/simulacro, statua del dio che è figura, simbolo e personificazione della divinità. Porfirio intende i simulacri (o le immagini sacre in generale) come mezzi simbolici per accedere a conoscenze più alte; vanno considerati nella profondità dei loro messaggi significanti, trasmessi dalla materia e dai colori da cui vengono plasmati e costituiscono una memoria visiva che impedisce la dimenticanza del divino.
Se pensiamo al rapporto tra la cosa (naturale o soprannaturale che sia) e la sua immagine ci si accorge che la vera essenza della cosa ci è ignota mentre possiamo conoscere la sua immagine sensibile.
L’essenza della cosa non è commensurabile, quindi non è riproducibile mentre la sua immagine si e pertanto riproducibile. L’immagine diviene quindi il limite e il luogo dell’illimitato, il visibile dell’invisibile e nella dinamica tra l’invisibilità dell’essenza della cosa e la sua immagine (limitata e commensurabile) sta l’origine di qualsiasi simulacro: un’immagine limitata che è il luogo dell’indeterminato.
Secondo il pensiero di Pierre Klossowski (Parigi, 1925 – Parigi, 2001) ognuno di noi si illude di vivere in un mondo autentico grazie all’oblio, che nasconde all’uomo il carattere simulatorio di tutte le sue azioni.
Scrive: «L’oblio ricopre l’eterno divenire e l’assorbimento di tutte le identità dell’essere».
Klossowski sostiene che l’uomo è immerso in una condizione di malessere a causa del suo continuo rapporto con esperienze inautentiche e false; vive in un mondo di apparenze, di simulacri.
Alcuni aspetti del pensiero di Klossowski sono ripresi da Gilles Deleuze (Parigi 1925 – Parigi 1995), secondo cui il simulacro è «una copia delle copia, un’icona infinitamente degradata».
Con Jean Baudrillard (Reims 1929 – Parigi 2007) il simulacro entra a far parte della riflessione sociologica in cui cerca di interpretare e comprendere il contesto sociale attraverso questo concetto.
Baudrillard supera la riflessione filosofica elaborata precedentemente e mette in relazione il concetto di simulacro sviluppato da Klossowski con i nuovi modelli di simulazione informatici e con l’iperrealismo prodotto da questi ultimi. La circolazione sempre più accelerata di immagini, informazioni, interpretazioni (e anche manipolazioni), tendono a eguagliarle in forma di simulacri. Svanisce la distinzione tra il vero e il falso: ciò che appare non ha più alcun riferimento con la realtà, che è un rimando continuo di segni. Anche la morte diventa iperreale: un simulacro che partecipa fino in fondo alla comunicazione spettacolare di massa.

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