Cartografia di una discussione viva
Forum delle Culture Occupato | Napoli
Rivolta e tumulto
giovedì 15 marzo 2012
incontro pubblico
Sono intervenuti: Pierandrea Amato, Esc Atelier Autogestito
Parlare di “rivolta” all’Asilo della Conoscenza e della Creatività ha il senso di porre il problema di come organizzare una produzione culturale autonoma e indipendente, e chiama in causa il tema del rapporto tra i processi di movimento e le dinamiche di cristallizzazione alle quali ogni movimento può essere soggetto. Bisogna sempre interrogare questo rapporto come pratica di autonomia propria dei saperi e delle arti.
Dobbiamo riuscire a costruire un pensiero che si possa trasformare in energia, strategia e pratica.
1. costituente/destituente
La Rivolta non è elemento di per sé costituente. La filosofia, le consuetudini, la memoria, le istituzioni, vengono sempre molto dopo gli eventi (e non è detto che vengano per forza).
Un esempio spaesante in questo senso è quello delle rivolte delle banlieue.
Tutto ciò che avviene nelle banlieue è fuori dalla politica. O anche nelle esperienze della rivolta c’è un tipo diverso di politica. Qui la gestione del conflitto è determinata innanzitutto da una schivata, da una distanza, da un rifiuto. La rivolta riesce a occupare l’immaginario ma senza parlare di potere. In genere c’è una specificità territoriale delle rivolte ma non si pone la questione del potere.
Se è vero che nelle rivolte si pone un’idea nuova della politica stessa – da sempre incatenata nel nesso violento e inscindibile “politica/potere” – allora dove si può iscrivere una politica letteralmente anarchica – senza principi, senza fondamenti, che nasce cioè dal nulla?
E’ possibile pensare – all’interno del pensiero rivoltoso – una politica che parte dall’esistenza e che la renda immediatamente creativa?
Bisogna pensare una politica che abbia una durata!
Come si può produrre una politica che sia in grado di trasformare l’esistente e immaginare ciò che non è? Una politica che sia in grado di immaginare l’impossibile? Come si può rendere istituzionale l’eccesso in nome della democrazia?
Cominciamo a smascherare ciò che è.
Riuscire a rendere illegittimo il potere costituito.
Non porsi come contropotere – tu cattivo io buono – dicotomia che ha attraversato il pensiero moderno. Ora siamo chiamati ad altro.
Non è tanto la questione della destituzione ma pensare che questa destituzione abbia un potere, ovvero sia in grado di trasformare l’esistente.
La rivolta è oggi il luogo della chance della politica.
Come dare una nuova durata al tempo?
Una nuova temporalità alla durata?
La rivolta precede e eccede la rivoluzione.
E’ un primato del gesto rispetto alla storia.
(Sparare all’orologio per presentarsi in orario)
E’ uno spazio che rende permanente la rivoluzione.
(If I can’t dance it’s not my revolution)
È un fuoco sacro, una festa.
Quando un rivoltoso si sveglia da solo è già un noi
La rivolta è prima di tutto un rifiuto verso ciò che si è
Un rifiuto che non si consuma nell’interiorità
Esprime la sua singolarità in una pluralità
Ripensare il condominio, ripensare la politica
che oggi è una grande amministrazione di condominio
2. tumulto e istituzioni
Tra “tumulto” e “rivoluzione” non c’è differenza rispetto all’istanza trasformativa del presente e rispetto al problema della durata.
Solo che il tumulto non allude a un fine perché ha già in sé l’istanza trasformativa. Non è la transizione necessaria per accedere ad un altro mondo, semmai è un modo altro di transitare nel presente che abitiamo. Non pone più il problema binario del potere. Ciò che emerge è la pluralità di valori e le condizioni che si intersecano come strumenti utili per la lotta.
Le lotte sono partite spesso su istanze difensive.
Ma questa spinta difensiva ha prodotto immediatamente un ripensamento:
Oltre a difendere l’esistente si ribalta il rapporto tra utenza e chi offre il servizio.
Implica lo scardinamento della forma concettuale secondo cui esiste conflitto/ristabilimento dell’ordine/conflitto.
Invece c’è il rifiuto della delega. Il concetto stesso di democrazia viene ribaltato.
La pratica politica della democrazia non è stata affidata alla politica
Il processo con le istituzioni deve essere aperto e va affrontato pragmaticamente e avere la flessibilità di giocarsi una partita sempre aperta.
La sfida è la durata.
Come i tumulti prolificano e come riescono ad andare oltre se stessi.
Come continuano a centrare i conflitti.
E come hanno la capacità di mettersi in discussione mettendo in conto anche la possibilità della distruzione.
E veniamo a noi…
Per il lavoro immateriale il ragionamento parte dal sociale.
I precari della conoscenza sono il meccanismo principale della produzione di valore nel mondo.
La nostra battaglia deve partire dalla formazione.
Autogestendo i saperi ci si riappropria non solo già del processo ma si crea un dispositivo per andare fuori dagli steccati delle discipline.
Dobbiamo puntare a un lavoro di produzione teorica che non esclude mai il conflitto.
La rivolta crea qualcosa che non c’è e contemporaneamente produce conflitto con quello che c’è. Per questo nella rivolta c’è un elemento artistico.
Siamo consegnati ad un mondo che non ci appartiene.
Totale incoerenza e distinzione tra ciò che penso e ciò che vivo.
Abbiamo il compito di rimettere insieme pensiero e vita coscienti che esiste un carattere inconscio nella rivolta. Siamo chiamati a inventare un nuovo linguaggio. I giovani delle banlieue venivano criticati per mancanza di identità politica ma loro stessi agendo ancorati a un pensiero semplice e chiaro – se il capitale mi chiede di comprare io saccheggio i negozi – nel momento stesso della lotta hanno incominciato a porre la questione dell’identità.
Sul nostro territorio abbiamo un esempio di straordinaria resistenza politica: Chiaiano. E’ una delle grandi sperimentazioni che non leva la vita al sapere ma consegna il sapere alla vita.
Entrambe le esperienze sono senza un linguaggio codificato e riconoscibile ma è comunque un linguaggio pieno di senso.
Se una rivolta si da accade sempre in un mondo impreparato ad esserlo ma ogni volta la rivolta apre un mondo e ogni volta dobbiamo avere fedeltà all’infedeltà di noi stessi.