Sull’Espresso del 16 gennaio 2015 è uscito un articolo sull’esperienza dell’Asilo, dal titolo Napoli da copiare.
Tra attacchi quotidiani e generalizzati alla nostra città, fa piacere che ogni tanto qualcuno si metta in ascolto per provare una difficile contronarrazione. Non sappiamo se l’Asilo sia un modello da copiare. Ci interessa, invece, che il processo avviato sia moltiplicatore di pratiche fondate sull’incontro, la relazione e la cooperazione.
Il testo completo qui riportato differisce in una sola cosa dalla versione pubblicata dal settimanale: non contiene nomi e cognomi di nessun abitante dell’Asilo e non per una questione di privacy. (Siamo rimasti sorpresi nel vedere che la nostra esplicita richiesta non sia stata accolta dall’autore)
La de-individualizzazione del processo, pensarsi, agire e raccontarsi come un corpo unico è alla base della pratica cooperativa e orizzontale dell’Asilo, nella quale le individualità confluiscono e si sciolgono per dare vita ad un’intelligenza collettiva.
NAPOLI DA COPIARE
di Alfredo D’Agnese
Il portone di vico Maffei 4 è a pochi passi da San Gregorio Armeno, la strada dei presepi nel cuore di Napoli. Un turbinio di vita popolare dentro cui si cela un tesoro ben nascosto. Oltre il massiccio cancello in ferro c’è l’ex asilo Filangieri, un complesso che risale almeno al 1572. Abbandonato dopo il terremoto del 1980, da 27 mesi l’edificio è diventato “l’asilo”, lo spazio vitale di un gruppo di ” lavoratori e lavoratrici dell’immateriale”, come li definisce la delibera 400/2012 della Giunta comunale. Non un centro sociale occupato, ma un luogo di sperimentazione che sta diventando un’esperienza pilota.
Qui, per usare una frase cara ai suoi abitanti, “lo spazio è di chi lo usa”. In quasi tre anni sono state organizzate oltre 90 assemblee pubbliche di gestione, ospitati più di 100 concerti,550 giorni di formazione, 140 dibattiti e seminari, 100 presentazioni di libri, ebook, mostre di fotografie e di arti visive. «È un enorme spazio aperto a tutti, un centro di produzione interdipendente, dice un’abitante danzatrice e coreografa. E i biglietti d’ingresso? «Non esistono. Ogni attività è a ingresso libero. Chi vuole, può lasciare un contributo di complicità. Noi lo chiamiamo così».
I numeri mostrano il risultato di un laboratorio permanente di musica, letteratura, teatro, politica, arte visiva, cinema, poesia, danza. L’ex asilo è un calderone di iniziative: il 16 gennaio riprende il ciclo di incontri curati da Riccardo De Biase e Rosario Diana “DisseminAzioni”, dedicato al rapporto tra arte e musica; è in piena attività il laboratorio permanente di arti sceniche “Scuola Elementare del teatro” ideato da Davide lodice. «Ho 40 allievi divisi in due gruppi», dice Iodice: «Sono talenti di vario genere che ho potuto raccogliere grazie alla Onlus Forgat. Si sta trasformando in un’officina produttiva che a marzo presenterà il suo primo lavoro».
All’ingresso dello stabile, un custode comunale guarda la tv; è sintonizzato su una emittente locale che trasmette musica neomelodica, in perfetto contrasto con le riunioni che si tengono nella cappella seicentesca. Ognuno dei protagonisti di questa avventura lavora come volontario. Ogni attività è discussa in assemblea. Nessuna decisione viene presa prima di essere condivisa dagli abitanti del complesso. Le riunioni sono lunghe, fine, dense.
Sono trascorsi quasi tre anni dalla nascita di quest’avventura: che respiro ha, che tempi di vita? La risposta degli abitanti dell’”asilo” è nella rete formata con i colleghi del Teatro Valle Occupato e del Nuovo Cinema Palazzo di Roma, con il Macao di Milano e con le Sale Docks di Venezia. Il tentativo di costruire un altro sistema: una fitta collaborazione li lega a esperienze simili sorte al Teatro Coppola di Catania, al Garibaldi Aperto di Palermo, al Teatro Rossi Aperto di Pisa, al Pinelli Occupato di Messina.
Questi centri sono la reazione alla crisi che ha investito la scena italiana. Tagli alla cultura, riduzioni economiche, decisioni che si sono abbattute come un maglio sulle realtà meno forti. I primi squilli di reazione risalgono alla fine del 2011. «Siamo abituati a politiche culturali, a grandi eventi calati dall’alto che hanno un movimento verticistico distaccato sia dai territori che dal pubblico» dice un abitante attore, una delle voci dell’assemblea che parla: «Siamo partiti dalle esigenze primarie. C’era la necessità di ridiscutere e far partire un processo da zero. È stato un incontro
generazionale tra persone che hanno tra i 30 e i 40 anni, ma tra di noi ci sono anche ventenni e cinquantenni. Abbiamo cominciato a riunirci, poi le assemblee sono diventate sempre più grandi, spazio di discussione sulle nostre esigenze, su eventi e privilegi.
Da quel momento il discorso si è allargato a livello nazionale: c’era il caso del teatro Valle. Quello che stava avvenendo lì era un focolaio comune anche a Milano e a Palermo. Abbiamo sentito l’esigenza di creare una rete territoriale. Siamo sperimentatori di pratiche culturali».
L’asilo ha una data di nascita: il 2 marzo 2012. Il giorno in cui i lavoratori dello spettacolo, dell’arte e della cultura hanno occupato lo stabile che era sede delle attività del Forum Universale delle Culture. All’epoca il collettivo iniziale era denominato “La Balena”. «Poi il gruppo iniziale si è sciolto nella comunità», dice un abitante scenografo: «Abbiamo discusso molto sull’organizzazione interna, sull’utilizzo degli spazi. Da quel giorno si riunisce una volta alla settimana un’assemblea, il primo organismo di questo autogoverno. Chiunque voglia partecipare può farlo. Pratica molto faticosa, ma garantisce l’accessibilità dello spazio e la trasparenza su come si praticano le decisioni».
La bacheca all’ingresso è divisa in otto “tavoli”: Gestione, Autogoverno, Orto Urbano, Biblioteca, Cinema, Armeria, Infrasuoni, Arti della Scena. Sono le principali attività dell’asilo, che in meno di tre anni ha coprodotto spettacoli vincitori di premi nazionali, realizzato produzioni editoriali e ricerche scientifiche. Da qui sono passati Enzo Moscato e Roberto De Simone, Jan Fabre, Emma Dante, Gerardo Marotta e molti altri. Lo spazio è un perpetuo viavai di studenti, artisti docenti universitari, bambini e adolescenti curiosi. Ogni piano ospita una o più attività: il vecchio refettorio è diventato una grande sala utilizzata per la danza; al terzo piano è Stato ricostruito uno spazio teatrale ex novo. «Non c’è una struttura giuridica né un giro di denaro. L’unica forma di moneta è il tempo regalato agli altri. Condividiamo e mettiamo a disposizione mezzi e spazi per produrre. Qui si abbattono i primi costi di base. Non siamo competitor l’un contro l’altro armati». Una sorta di welfare dal basso, uno Stato libero dello spettacolo che va al di là di storici compartimenti ideologici.
Le prospettive del movimento sono legate oggi all’approvazione del Comune di Napoli di un “regolamento per l’uso civico dell’ex asilo”, un documento formato da cinque capi e 18 articoli. «Vi abbiamo lavorato per due anni», dicono in coro. «Abbiamo cercato, grazie a ricercatori e studiosi, di immaginare una nuova forma di regolamento di uso pubblico che preveda la partecipazione diretta dei cittadini alla gestione». Il testo è allo studio dell’amministrazione guidata da Luigi De Magistris, come conferma l’assessore ai Beni Comuni Carmine Piscopo: «Siamo molto interessati al taglio scientifico, alla loro idea degli spazi civici. Tra qualche settimana passeremo a definire la fase operativa del regolamento».
Su e giù per le scale si rincorrono quelli che un tempo chiamavamo “scugnizzi”. Hanno imparato a voler bene a questa comunità. Gli abitanti dell’asilo li hanno aiutati a metter su una squadra di calcetto. «I bambini non potevano giocare a pallone se non per strada: tutti i campetti del quartiere, per un motivo o per un altro, gli erano negati. Così è nata la “Real San Gaetano”, un altro modo per stare insieme con gli abitanti di questa città».