Dopo la prima edizione del Grande Vento scrivevamo:
per noi è essenziale ripartire dalla consapevolezza che, oltre ad una critica radicale all’esistente, abbiamo sperimentato un modello alternativo che funziona.
Queste parole ci sembrano ancora oggi le più belle per aprire un bilancio del secondo Grande Vento, la cui forza sta proprio nell’aver continuato a credere nella stessa idea sperimentale con la stessa intensità e la stessa tensione collettiva.
Ma vogliamo dire di più.
Grande Vento non è un evento ma un percorso, fatto di autogestione, cooperazione, solidarietà, reinvestimento in mezzi di produzione ad uso collettivo, assenza di mediatori politici, un percorso libero da competizione, direzioni artistiche, gerarchie.
Grande Vento non è una tre giorni per lavoratori dello spettacolo, delle arti e della cultura, o peggio una passerella in cui gli artisti fanno da contorno alla politica. Grande Vento è l’espressione dell’azione e dell’organizzazione diretta dei lavoratori delle arti, dello spettacolo e della cultura. Grande Vento è interdipendenza, e l’interdipendenza è la nostra forza.
Ecco le pietre che costruiscono questa strada difficile, impervia, ma che è la nostra strada ed è quella che chi ha partecipato al Grande Vento (oltre 80 artisti, più di 5000 persone) ha scelto di percorrere.
Grande Vento, al contempo, non è un capodanno.
Antonio Gramsci, nella sua consueta chiarezza di vedute, affermava che a dispetto del fatto che le date possano dare l’impressione che la storia viva di improvvisi cambiamenti epocali, questa si svolge in realtà in un flusso continuo. Riprendendo questa idea, noi vogliamo che il Grande Vento non sia un capodanno, una “data”, o peggio un appuntamento che dia l’impressione di coprire come un velo una sostanziale continuità; vogliamo che per noi lavoratrici e lavoratori delle arti, il Grande Vento resti un momento in cui il flusso continuo di un percorso abbia la possibilità di manifestarsi con maggiore chiarezza, e forza.
Forza che, come ribadivamo all’inizio di questa riflessione, è innanzitutto l’espressione immediata e collettiva di un modello alternativo basato su autogestione, cooperazione, solidarietà, consapevolezza.
Prendiamo ancora a prestito le parole di Gramsci sull’importanza del rinnovamento costante, che, riallacciandosi a sua volta al flusso continuo “delle ore trascorse”, lo irradia di nuova linfa, nuova vita, nuova forza:
“Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse”.
Buona la seconda. Da qui continuiamo.