Giovedì 30 gennaio | ore 21 | l’Asilo
Gianni Amico. Jazz e altre visioni
Proiezioni e incontro con Olmo Amico
Ore 21: presentazione di Olmo Amico
a seguire i film:
L’uomo amico
di Germano Maccioni, da un’idea di Olmo Amico
(Italia, 2015 – 38′ colore)
We Insist (Noi insistiamo)! – Suite per la libertà subito
di Gianni Amico
(Italia 1964 – 16′ b/n)
Appunti per un film sul jazz
di Gianni Amico
(Italia 1965 – 35′ b/n)
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Regista, sceneggiatore e critico cinematografico, nonché animatore culturale, Gianni Amico è stato una figura unica nella cultura italiana del Novecento, diviso tra il cinema, il jazz e la musica brasiliana, la politica, l’arte e l’analisi intellettuale.
Nel 1963 inizia una densa collaborazione con Bernardo Bertolucci, per la sceneggiatura di Prima della rivoluzione a cui segue Partner (1968). Collabora come sceneggiatore anche con Godard (Vento dell’Est) e Glauber Rocha (Il leone a sette teste).
Nel 1962, dopo aver organizzato sin dal 1960 la Rassegna del Cinema Latinoamericano a Santa Margherita Ligure, si reca per la prima volta in Brasile, innamorandosi di quella “terra piena di contrasti” dove realizzerà il suo primo lungometraggio (Tropici del 1968).
Molti suoi film, a partire dal cortometraggio di esordio, Noi insistiamo! Suite per la libertà subito (1964, ispirato al disco di Max Roach We Insist! – Freedom Now Suite), recano il segno della passione per il jazz. È il primo a portare in Italia Gato Barbieri, amico di tutta una vita, così come Don Cherry, Steve Lacy ed Enrico Rava.
Negli anni dirige molti film per la Rai, tra i quali: L’inchiesta (1971), scritto con Bertolucci, Le cinque stagioni (1975) e Le affinità elettive (1977).
Nel 1983 realizza il suo unico film per il cinema, Io con te non ci sto più, prodotto da Bertolucci.
La volontà di diffusione dell’amata cultura brasiliana lo porta a riunire all’Estate romana del 1983 tutti i grandi musicisti della scuola di Bahia. Gira, con Leon Hirszman e Paulo Cesar Saraceni, decine di ore di materiale su quell’evento, con il sogno di realizzarne un grande musical. Vicende produttive ne impediscono il montaggio fino a dopo la sua morte, quando la moglie Fiorella Giovannelli, montatrice, riesce a portare a termine il progetto, e il film, con il titolo Bahia de todos os sambas (1996), viene presentato alla Mostra del cinema di Venezia e al Festival di L’Havana.
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Estratti da Ritmo nelle immagini. Appunti sugli esordi cinematografici di G. Amico
di Marco Bertozzi
“Non lo posso concepire, non lo posso credere ma dicono che non siamo più schiavi”. La frase pronunciata in Noi insistiamo! Suite per la libertà subito sintetizza come poche il lavoro di Gianni Amico, l’appartenenza a un’avanguardia, politica ed estetica, che sgretola poteri arcaici e innesca pratiche libertarie.
Il cinema di Amico squarcia la metà degli anni Sessanta con opere di inusitata libertà espressiva come Noi insistiamo! e Appunti per un film sul jazz: opere, montate da Roberto Perpignani, in cui si vola su un impianto sonoro che deve tutto alla passione di Amico per Max Roach e Charlie Mingus (ma anche per Enrico Rava e Franco D’Andrea), nonché alla piena consapevolezza del cinema diretto: “Il cinema in 16mm stava aprendo un nuovo margine di libertà, che era libertà dalla sceneggiatura. Accettare l’idea del 16mm, della presa diretta, significava in fondo liberare il cinema”.
Per Amico, spostare le soglie del realismo, ridefinirne la sua ammissibilità, accettarne dosi impreviste significa cambiare radicalmente l’idea di documentario.
Appunti per un film sul jazz è girato a Bologna, durante il VII Festival Internazionale del Jazz. Arrivano Gato Barbieri, Don Cherry, Jenny Clark, e Amico li affronta nella piena consapevolezza delle possibilità offerte dal cinema diretto: senza voice over, con una camera Éclair Coutand a spalla e il suono dal vivo ripreso col Nagra, le prove dei musicisti sono alternate a interviste o momenti del soggiorno bolognese. Vita ritmata dallo scandire dei fotogrammi: ecco “il sentimento concreto di amicizia e complicità che c’è nella ‘jazz-philie’ come nella ‘cinéphilie’”.
Refrattario a qualsiasi concezione standard di film, strenuo difensore della sua autarchia poetica, Amico è illuminato artefice del Nuovo cinema italiano. Sicuramente, il cinema degli anni Sessanta-Settanta gli deve molto: “Forse senza saperlo – ricorda Alberto Farassino – e certamente senza che lo sapessero gli spettatori, anche quelli che leggono i titoli di coda fino all’ultimo nome dell’ultimo macchinista”.
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Un amico incondizionato del jazz
di Enrico Rava
Il 1963 è stato un anno importantissimo per me, perché ho conosciuto Gato Barbieri e Gianni Amico. Gato, di cui Gianni era un fan assoluto, era venuto pochi mesi prima dall’Argentina, anche su insistenza di Gianni che lo aveva conosciuto a Buenos Aires in occasione di un festival di cinema. Con il suo istinto infallibile ne aveva subito riconosciuto le doti straordinarie e individuato le potenzialità.
Per una serie di circostanze fortunate io, che all’epoca ero solo un giovane dilettante piuttosto sprovveduto, mi ero trovato a suonare con Gato in alcune situazioni, ed ero stato talmente incoraggiato da lui che decisi di fare della musica la mia vita. Comunque quella sera suonavamo a Torino, al Piccolo Teatro, e è proprio lì, nei camerini del Piccolo, che è piombato da Genova Gianni Amico. Da lì è nata un’amicizia che sarebbe durata quasi trent’anni.
Gianni era un amico incondizionato del jazz, della musica brasiliana e del Brasile. Quando due anni dopo, con il quintetto di Gato Barbieri, suonavamo a Roma, era Gianni che ci sosteneva nei momenti difficili e magari, in caso di necessità ci aiutava a pagare l’affitto.
A casa sua ascoltavamo le ultime novità discografiche o certi splendidi dischi rari che era riuscito a procurarsi chissà come in uno dei suoi tanti pellegrinaggi in Brasile. Qualche anno dopo, quando vivevo a new York, le incursioni di Gianni, che venisse per girare un film o per un festival di cinema, erano parentesi di pura gioia nella quotidianità stimolante, ma molto dura e un po’ perversa, di quella città. Si abbatteva come un tornado su New York con la sua voglia di fare, di vedere, di ascoltare, di conoscere con quel suo intuito, sempre sicuro, per quello che valeva la pena fare.
Quando nel 1978 sono tornato a vivere in Italia, era la sua casa a Manarola nelle Cinque terre, a picco sul mare, a essere il mio punto di riferimento, dove passavo giornate splendide con lui, con Fiorella e con il piccolo Olmo ad ascoltare musica sempre bellissima, a guardare le onde, a cucinare cose buone, a parlare, a mangiare, a fare progetti che non andavano quasi mai in porto…
Tutto questo purtroppo non c’è più. Rimangono molti bei ricordi, alcuni film e soprattutto il film sul jazz più vero e più appassionato che io abbia mai visto: Appunti per un film sul jazz.
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