Sabato 12 gennaio 2019 ore 22:00 – L’Asilo

Flavio Giurato in concerto

Le Promesse del Mondo Tour

Flavio Giurato – chitarra e voce
Federico Zanetti – basso elettrico
Daniele Ciucci Giuliani – batteria e percussioni
Mattia Candeloro – chitarre elettriche

Il concerto sarà preceduto da una breve introduzione di Giuliano Ciao che sta realizzando il volume Flavio Giurato – Le gocce di sudore più puro, di prossima pubblicazione dalla Crac Edizioni.

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La vicenda artistica di Flavio Giurato, cantautore nato a Roma nel 1949, è perfettamente divisibile in due trittici separati fra loro da quasi vent’anni di oblio, di forzato (o voluto) allontanamento dal mondo discografico.
Il primo trittico, composto da tre concept album realizzati fra il 1978 e la prima metà degli anni ’80 e registrati su supporto analogico, viene inaugurato da Per futili motivi, inciso con la Dischi Ricordi. L’album, cantato in parte in romano, narra la storia di un giovane che compie diciott’anni il 10 giugno del 1940 e si ritrova cinque anni dopo spettatore a Piazzale Loreto. Si appende il dittatore per i piedi, ma gli apparati, le strutture e il controllo sociale cambiano per restare sempre gli stessi.

Malgrado sia un esordio folgorante devono trascorrere altri quattro anni affinché Giurato incida con la CGD Il tuffatore, che viene promosso all’interno di Mr. Fantasy, celebre trasmissione televisiva condotta da Carlo Massarini. Il disco, che narra le storie d’amore di un giovane nell’epoca dell’omologazione culturale, vede la partecipazione di musicisti di fama internazionale, come Mel Collins ai fiati (King Krimson, Camel, The Alan Parsons Project, Dire Straits), Ray Cooper alle percussioni (Elton John, Sting, Eric Clapton, Pink Floyd), Toto Torquati al piano (Baglioni, Dalla, De Gregori, Gaetano) e Piero Tievoli alla chitarra. Il tuffatore è composto da un susseguirsi di cronache sentimentali, un diario intimo che raccoglie frammenti di vita vissuta per poi trasportarli, attraverso un personalissimo meccanismo di deformazione lirica, in una dimensione immaginaria che trasmuta la realtà in racconto mitico. Per il linguaggio innovativo fatto di brucianti intuizioni poetiche, per il sofisticato e doloroso romanticismo, per l’alternanza fra italiano e inglese e per gli arrangiamenti che mescolano tradizione cantautorale e influenze musicali provenienti dal prog e dal jazz, l’album è considerato una pietra miliare della musica italiana ed è presente nella classifica dei 100 dischi italiani più belli di sempre secondo Rolling Stone Italia alla posizione numero 84.

Nel 1984 Giurato pubblica ancora con la CGD Marco Polo, liberamente ispirato dallo sceneggiato televisivo di Giuliano Montaldo con Burt Lancaster. Il disco vede ancora la partecipazione della straordinaria squadra di musicisti del disco precedente e racconta il viaggio di un occidentale nella cultura di un oriente mentale. Giurato riesce a far coincidere con il personaggio e le vicende del disco, non tanto l’artista, ma l’essere umano con tutte le sue debolezze: egli non canta Marco Polo, ma finisce per esserne agito, non narra le gesta del viaggiatore veneziano ma vi si confonde, in un gioco di rispecchiamenti e riflessi in cui l’uno si perde nell’altro e l’altro riaffiora nel primo. E Marco Polo nell’essere cantato finisce per accogliere tutto il dolore e l’umanità di un narratore che, nel raccontare di un viaggio, vi s’imbarca. Nell’album c’è l’ampio respiro dell’epica, ma che si stringe attorno a uno strazio personalissimo, che trasuda in ogni piega e in ogni nota. Tramite una vicenda esemplare, come quella del viaggiatore veneziano, Giurato ha trovato la forma definitiva su cui modellare il suo incontrollabile desiderio espressivo. Nessun compromesso artistico fu accettato durante la realizzazione di questo terzo e finale atto del trittico analogico, che rappresenta un altro indiscutibile capolavoro giuratiano. Il disco, troppo ostico e sperimentale per poter condurre ad una qualche soddisfazione commerciale, rappresentò a tutti gli effetti un premeditato suicidio discografico.

Dopo il 1984, chiuso il rapporto con l’industria musicale, Giurato lavora in Rai come regista, gira documentari e allena il settore giovanile della S.S. Lazio baseball. Nel 2002, quando in molti avevano oramai smarrito le sue tracce, esce per la Vitaminic l’EP Il manuale del cantautore, il primo abbozzo del successivo e omonimo album che, uscito poi nel 2007, rappresenta il primo CD del trittico di album registrati su supporto digitale. La strage di Stato compiuta in cielo, Sole e Baleno come Sacco e Vanzetti, la carta stampata degli otturatori, l’omicidio politico di un poeta (la morte di Pier Paolo Pasolini), la detenzione americana di Silvia Baraldini, fino ad arrivare all’acquisto di Alessandro Nesta da parte del Milan per attraversare gli anni novanta e i primi anni del nuovo millennio come tanti nastri magnetici avvolti su pezzi di realtà. Giurato diventa il lucido testimone di un mondo, o meglio di un paese, l’Italia, in perenne cambiamento: osserva, seleziona, attinge dai materiali di una storia più o meno recente, dalla cronaca, dall’attualità, ma la forza del disco risiede soprattutto nel modo in cui, da una narrazione all’insegna di una vocazione strettamente politica, Giurato lasci emergere una dimensione intima ancora una volta sofferente, a testimonianza di una sensibilità sempre viva e di un conflitto esistenziale tutt’altro che assopito.

Nella primavera del 2015 esce per la Entry, la casa di produzione di Giurato stesso, La scomparsa di Majorana, un disco di lugubri rituali, di lunghe ed estenuanti canzoni che tornano nuovamente a raccontare il presente ma lo fanno in modo più ostico rispetto al passato, in cui gli appigli narrativi, i riferimenti all’attualità o i casi di cronaca vengono talmente spezzettati e volutamente confusi da apparire come brandelli disciolti, materiali residuali, codici incomprensibili, messaggi cifrati, frammenti occultati fra le pieghe delle varie trame di un disco splendidamente misterioso, in cui Giurato sembra essere tornato alla creatività anarchica di Marco Polo, nutrendo l’album delle proprie personali visioni, dei propri febbricitanti spasmi. Il disco è stato definito da Christian Zingales della rivista Blow Up – che l’ha inserito al secondo posto, dietro Carrie & Lowell di Sufjan Stevens, nella classifica dei 10 migliori album usciti nel 2015 – “un disco che in futuro sarà adorato come un monolite sacro”.

Nell’autunno del 2017, a conclusione del trittico digitale, esce ancora per la Entry Le promesse del mondo, definito dal suo autore “un concept album sul fenomeno migratorio, sullo spostamento, sul viaggio e sul movimento degli esseri umani in tutto il mondo, raccontato dai fatti e non informato sui fatti, visto da numerosi lati e non da un unico angolo, tirato fuori a forza dalla carneria del migrante e del migrato, dello scafista e del caporale, del volontario e del militare, del medico e del cappellano, di chi accoglie e di chi raccoglie. Nel disco il fenomeno è preso a tutte le latitudini e longitudini ed in diverse epoche storiche, dall’antica Roma alla Seconda guerra mondiale, dai Balcani degli anni ’90 fino al Messico e al Mediterraneo dei nostri giorni”. Giurato ha scelto di trattare il vero tema dei nostri giorni, quello delle migrazioni, riuscendo tramite il suo sguardo e il suo stile inconfondibili a scansare qualsiasi forzatura retorica.

Ciò che sorprende ascoltando i due trittici di Giurato è la coerenza solidissima con cui egli ha difeso la sua integrità artistica, il modo in cui il cantautore romano è riuscito nel tempo a preservare il suo sguardo personalissimo e geniale, la maniera in cui egli ha continuato incessantemente la sua ricerca sulla forma canzone. Molti cantautori, e in generale molti artisti, superato un periodo di intenso furore creativo, quello in cui solitamente realizzano le loro opere migliori, passano il resto delle loro carriere a perpetuare, spesso stancamente, formule già collaudate, a riproporre vecchie intuizioni, a rimasticare antichi splendori. L’unicità di Giurato non risiede solo nella bellezza dei suoi lavori (i suoi dischi sono tutti o bellissimi o capolavori) o nel fatto che la prima parte della sua carriera, quella del trittico analogico, si sia interrotta proprio mentre il suo furore creativo raggiungeva la sua vetta massima (evitando così qualsiasi parabola discendente). L’unicità di Giurato risiede soprattutto nel modo in cui, dopo aver trascorso due decenni sotto silenzio, egli sia riuscito a ritornare a fare musica impostando un nuovo e inedito percorso artistico, riformulando quasi da capo i principi formali delle sue canzoni, scansando qualsiasi strada derivativa, qualsiasi iniziativa di riciclo, qualsiasi operazione nostalgica. Giurato è tornato a fare musica perché aveva nuove cose da dire e un nuovo modo per dirle. In tal senso risultano evidenti le differenze estetiche fra le canzoni del primo e quelle del secondo trittico. Tutto ciò proietta di diritto Giurato all’interno dell’olimpo della musica italiana, in un posto che è ben oltre l’etichetta di geniale outsider che gli è stata appiccicata addosso e che non fa altro che designare in modo inadeguato ed eccessivamente semplicistico la vicenda musicale di un artista straordinario.

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Breve estratto dal libro di Giuliano Ciao Flavio Giurato – Le gocce di sudore più puro di prossima pubblicazione dalla Crac Edizioni:

“L’immagine di un uomo che corre. Una corsa estenuante, frenetica, sgrammaticata ma elegante. La fatica di correre sulla poco educata superficie del bagnasciuga. Lunghe ed eleganti leve, sottilissime gambe e corti pantaloncini, calzettoni bianchi di spugna. Una mise che oggi definiremmo impunemente retrò. Era pur sempre il 1982 quando venne girato il videoclip di Orbetello ali e nomi, canzone tratta dal secondo disco di Flavio Giurato, Il Tuffatore. Ed è lui quel longilineo corridore, bello e scomposto. È sua quella corsa furiosa, mentre con la stessa intensità si affannano e si rincorrono il piano e le percussioni. È lui che corre a perdifiato, senza apparente destinazione. Fino allo schianto. Fino alla rovinosa caduta al suolo. Corpo e capelli nell’acqua.
Nemmeno il tempo di concedersi alla caduta che si è di nuovo in piedi, capelli al vento. Prima di cadere ancora, e ancora. E ancora rialzarsi. Fino allo stacco finale in controluce, esile sagoma nera, luminoso orizzonte sullo sfondo.
Quella di Giurato è una corsa durata dal 1978 al 1984. È tutta racchiusa fra il primo salto, la prima caduta, non nella sabbia ma nel vuoto, che apre il primo LP Per futili motivi, e quel calmo attendere, sguardo all’orizzonte, di Marco Polo che chiude il terzo album. Un salto vertiginoso che innesca una forsennata corsa. E poi l’attesa, quella di chi non si è fermato mai per milioni di chilometri.
Non c’è immagine che possa racchiudere meglio di questa corsa, sgrammaticata ma elegante, sempre ostinata, la vicenda umana e artistica di Flavio Giurato. Una corsa che è sprigionamento di energie compresse, rappresentazione di violenta necessità espressiva, meccanismo di deflagrazione emotiva, inappagabile ricerca di libertà, necessità di non arrendersi ai propri limiti ma al contrario di superarli, esibizione della propria bellezza. Una bellezza consapevole e a tratti compiaciuta e che, ad inizio videoclip, è scolpita nel volto di Giurato, nei suoi lineamenti arcigni, nel suo sguardo penetrante. Dai suoi occhi, sovrastati dai pesanti tratti delle sopracciglia, traspare il carisma e la tenacia, assieme ad un’aria di sfida e di ribellione velate solamente da un lieve sentimento di mestizia.
Un alto atleta, lunghe ed eleganti leve, sottilissime gambe e corti pantaloncini, calzettoni bianchi di spugna. Racchetta di legno. È sempre lo stesso videoclip e il tennista è ancora una volta Giurato. Egli attende con concentrazione l’ostinato ripresentarsi della pallina. Il volto, incorniciato da una folta capigliatura nera, scandisce ogni colpo con una smorfia di dolore. Le inquadrature indugiano sui muscoli contratti delle gambe. Ad ogni impatto con la palla il corpo si stacca dal suolo librandosi nell’aria in pose plastiche, la cui eleganza è sottolineata dallo scorrere a rallentatore dell’azione. Ogni colpo, a cui corrisponde una frustata di chitarra elettrica, è un’esplosione di bellezza, fatica ed ostinazione.
Un match che viene disputato contro un fato nefasto, questo alto muro su cui si infrangono i violenti colpi, rispediti poi al mittente. Un muro contro cui si infrange ogni velleità di trionfo, ogni tentativo di superamento. Una lotta ingaggiata contro il destino ma soprattutto contro sé stessi: poche speranze di vittoria in ogni caso. Una partita condotta in un perenne stato di esaltazione in cui il più alto e intenso piacere coincide con la percezione di una sconfitta sicura. Una partita che finisce per consumare l’atleta e l’uomo.
Lunghe ed eleganti leve, sottilissime gambe di un tuffatore che, dinnanzi ad un impassibile orizzonte, restò ad aspettare per quasi vent’anni e che seppe poi rinascere dall’acqua all’aria, in nuove ed inedite sembianze.”

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Per info
giuliano.ciao@libero.it – 3890363209

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