La Balena prosegue la sua strada, l’occupazione diviene permanente.
La protesta del collettivo La Balena non si ferma: da semplice occupazione a presidio permanente in dieci giorni.
La Balena ci spiega le sue coraggiose motivazioni durante la conferenza stampa tenutasi lunedì a mezzogiorno. Gli appartenenti al collettivo di lavoratori dello spettacolo e dell’immateriale si definiscono come “una soggettività multipla che agisce in un contesto politico, sociale, economico e culturale ormai all’agonia“: pur lavorando e vivendo di cultura hanno maturato sempre più la consapevolezza di essere esclusi dai luoghi e dalle dinamiche in cui spesso si decide e si progetta la politica culturale. “La nostra intenzione è quella di non adattarci più ad un sistema organizzativo e produttivo sempre più condizionato da clientele, partitocrazia, mercato, consumo e mediocrità, ma di costruire un insieme di pratiche e teorie capaci di disegnare un orizzonte di azioni e produzioni artistiche libere da tali vincoli” dichiarano con toni limpidi.
Si sono riconosciuti nella pratica dell’occupazione quale breccia per poter riportare in vita il processo di nuova cittadinanza. L’occupazione è intesa come pratica e non come fine e si tramuta in presidio permanente nell’inevitabile necessità di elaborazione, studio e sviluppo in via, per l’appunto, permanente.
Ci sono luoghi propriamente in grado di produrre senso e significato in questa coraggiosa (?) operazione. L’ex asilo Filangieri, il cui nome è stato cambiato dal collettivo in “Asilo della conoscenza e della creatività” è quindi luogo come punto di partenza per la diffusione della conoscenza ma è anche spazio che sarà attrezzato per gli eventi che vi avranno luogo. Tutto sommato un luogo invidiabile: attrezzato, ristrutturato, centrale, gratis.
Il collettivo ha dichiarato di aver deciso di restare con l’intento di creare: sono multiformi e in continua trasformazione ma non vogliono sostituirsi ad alcuna amministrazione in quanto si sentono rappresentanti di una realtà del tutto diversa.
Uno dei primi problemi che il collettivo vorrebbe tentare di risolvere o almeno di riportare all’attenzione è, condivisibile e ovvio, la condizione che vive il teatro: succube dell’ingerenza forte della politica partitica nelle strutture pubbliche, i grandi eventi che bruciano solo soldi e non lasciano linfa per la cultura quotidiana, la continua monopolizzazione della distribuzione.
Il collettivo è prevalentemente formato da lavoratori dello spettacolo che con gli incontri imbastiti finora ha profondamente compreso e rielaborato che incontrarsi è necessario: queste assemblee portano all’aggregazione di un tessuto che era abituato ad essere individuale ma che andava tramutato in collettività. Concludono: “c’è bisogno di ri-compattazione: siamo tutti una grande unione”.