Il salto della Balena. A Napoli il Comune dà ragione agli occupanti
di Helga Marsala
Su Artribune http://www.artribune.com/2012/05/il-salto-della-balena-a-napoli-il-comune-da-ragione-agli-occupanti/
È una delle poche città d’Italia a vantare un assessore ai Beni comuni. E i risultati si vedono. A Napoli Alberto Lucarelli firma una delibera di giunta che, sostanzialmente, promuove l’occupazione dell’Ex Asilo Filangieri da parte del collettivo La Balena. Lo spazio liberato, sarà resuscitato. Con una unica destinazione: cultura, gestita con modelli partecipati, inclusivi e condivisi. Se a Milano sgomberano, al Sud si prova a cercare nuove strade. Napoli, ma anche Roma e Palermo…
Un altro goal dal fronte occupazioni culturali. Nonostante la pioggia di critiche e dissensi precipitata sul caso Macao dopo la violenta battuta d’arresto imposta dalle autorità, segnali diversi giungono da altre regioni d’Italia. È infatti di oggi la notizia di una svolta importante nel percorso del movimento La Balena, da mesi insediatosi nell’ex Asilo Filangieri di Napoli, sede della Fondazione del Forum delle Culture 2013, ribattezzato “Asilo della Conoscenza e della Creatività”.
La comunità partenopea di Lavoratori dello spettacolo e dell’immateriale assesta un fragoroso “colpo di pinna” e porta a casa una bella vittoria: è il Comune stesso a riconoscerle un ruolo e a condividerne le ragioni, mettendolo nero su bianco in una delibera di giunta.
Così scrive l’assessore ai Beni Comuni e alla Democrazia partecipativa Alberto Lucarelli: “Intendiamo trasformare l’edificio in un forte polo di rivitalizzazione del territorio nell’ambito di un processo di sviluppo sociale e culturale della città. Con questa delibera, Napoli, primo Comune in Italia, intende favorire l’elaborazione di nuove idee e proposte, i processi di partecipazione, la sperimentazione, per dare opportunità ai giovani talenti, a coloro che non sono già inseriti nei circuiti esistenti, secondo una logica che non escluda tante significative realtà a causa del numero limitato di spazi pubblici disponibili”.
Ma non è tutto. Da Palazzo San Giacomo sottolineano che “per la prima volta, nei rapporti tra un’istituzione e il mondo culturale, si esce dal rigido schema dei rapporti interpersonali, avviando un percorso inclusivo”. Gestendo, cioè, le attività secondo modalità partecipate. Che ne sarà dunque dell’ex Asilo? Diventerà – o meglio, continuerà ad essere, sul filo della svolta determinata dagli occupanti – un luogo votato ad accogliere incontri, convegni e manifestazioni artistiche, “realizzati in maniera condivisa tra le istituzioni, la comunità di riferimento, la collettività locale e la cittadinanza attiva”.
Ribadendo che questa esperienza non potrà essere “inglobata in altri percorsi già avviati dall’amministrazione comunale, che non hanno finora coinvolto l’attività della comunità dell’Asilo“, la Balena mette i puntini sulle i, a scanso di equivoci, e aggiunge: “Se l’Asilo oggi è un bene comune, ciò è avvenuto non perché un ‘principe illuminato’ ha concesso e stabilito questo tipo di fruizione, ma perché una comunità, con un chiaro atto conflittuale, lo ha liberato e destinato alla cultura, all’arte, alla politica nel senso pieno del termine“. Come dire, va bene il confronto, ma niente imposizioni dall’alto. Perché Lucarelli, ci tengono a ribadirlo, non è l’artefice del cambiamento, ma solo un buon interprete dei fatti e della temperatura generale. Difficile non scorgere, in quest’immagine principesca, anche un riferimento al sindaco di Milano Giuliano Pisapia, con la sua generosa offerta dell’Ex Ansaldo in cambio del Galfa: com’è noto, Macao non accettò la proposta, ritenuta un “trappolone”, e provò a prendersi Palazzo Citterio. E fu subito, nuovamente, sgombero.
Così, la vicenda napoletana evidenzia alcuni significati possibili per questo grande fenomeno nazionale. Dopo l’illegale strappo, praticato dagli indignados per spezzare un’illegalità fatta di incuria, distrazione e qualche volta malaffare, l’Istituzione rientra in gioco, ma con uno spostamento, una manovra prospettica. È la politica stessa che comincia a cambiare? Magari. Perché della politica, come delle Istituzioni, non si può e non si deve fare a meno. Il luogo della trasformazione non è l’anti-politica ma l’istituzione stessa, in definitiva.
il Cinema Palazzo, nel quatiere San Lorenzo, a Roma
Qualcosa di simile era accaduto a Roma con l’occupazione del Cinema Palazzo, che il Tribunale di Roma aveva giudicato legittima nonché funzionale a inibire le speculazioni della società privata locataria, intenzionata a farne un casinò. E così il Valle, diventato un caso eccellente, da oltre un anno procede con produzioni di alto livello, aggiudicandosi il prestigioso premio UBU 2011 e lavorando alacremente alla stesura di uno statuto per la costituzione di un Fondazione basata su modelli di gestione alternativi.
A Palermo, intanto, l’appena insediato sindaco Leoluca Orlando, dagli studi de L’Infedele su La7, ringrazia gli occupanti del Teatro Garibaldi e sottolinea che, casomai, fuori legge è chi tiene chiuso per anni un teatro (restaurato con fondi pubblici) e non chi quel teatro lo ha liberato e resuscitato. Che farà adesso il primo cittadino palermitano, con il fidato assessore alla cultura Francesco Giambrone, non è ancora noto. Ma le intenzioni non sembrano certo repressive.
Il Grattacielo Galfa, a Milano, prima sede di Macao
La domanda, a questo punto, è d’obbligo. Perché a Milano tanta fretta nelle operazioni di sgombero, sia nel caso di un bene privato (la Torre Galfa, triste esempio di speculazione edilizia e intrallazzi finanziari), che in quello di uno spazio pubblico (Palazzo Citterio, altra storia di burocrazie decennali, fondi evaporati, progetti bloccati e arresti eccellenti)? Perché nessun tentativo di comprendere le istanze che stavano dietro Macao? Perché, al di là delle fragilità e le incertezze del movimento, l’azione è stata così vigorosamente osteggiata? Perché le amministrazioni non hanno provato a prendere del tempo, evitando lo scontro? Quanto ha davvero disturbato e rotto gli equilibri l’affaire Macao?
Abusivismo, cattiva gestione degli spazi culturali, dispersione e sottrazione delle risorse economiche pubbliche, logiche clientelari, mancanza di regolamenti per gli operatori dell’arte, obsolescenza delle formule e dei modelli culturali, incuria e approssimazione. Macao era anche questo: un tentativo di denuncia, un modo (a tratti confuso e non ancora maturo) di porre l’attenzione su un pezzetto di società che non funziona e che va a picco, come molto altro in Italia. E allora, si poteva (o si potrebbe) fare altro? Ma soprattutto, i macachi si sono davvero estinti?